Isola di Kere

 

Faro di Punta Sophia Psuke Baia della Vera Finzione Rocca Grotta della Memoria

Il monaco di vetro

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Editore :Jaca Book
Pagine: 132

“All'isola le bottiglie con i messaggi vanno e vengono. Credo che dovrò punire il mio servitore.”

Vento Di Mare

La storia di Ignazio è la storia di chi cerca se stesso attraverso l'avventura della scoperta della tela che il potere, mondano o spirituale, tende attorno alle persone libere. Rotolo, il Nano, Rosa, il Principe: ogni incontro è una svolta nella vicenda di Iganzio.

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Il monaco di vetro - estratto

L'alba schiariva poco a poco i contorni della cella. Ignazio sentiva la noia di un giorno nuovo; si alzò malvolentieri e andò subito ad affacciarsi alla finestra. "L'inverno non vuol mai finire quest'anno", pensò. Nei campi d'intorno al convento c'era ancora la brinata. Era tutto intorpidito e per svegliarsi si sciacquò vigorosamente il viso con l'acqua gelida della bacinella. Avevano già suonato la campana della meditazione mattutina; doveva affrettarsi se non voleva incorrere in un richiamo. Nel portico non c'era nessuno, forse sarebbe stato davvero l'ultimo, quella mattina. Ma il portone della sala di meditazione era aperto, ancora in tempo.
Entrò a capo chino e si avviò al suo posto che per fortuna era negli ultimi banchi; si sarebbe notato meno il suo ritardo. Per la corsa e la paura aveva il fiato grosso. Guardando in basso cercò di calmare le sue emozioni, respirando lento; ignorò volutamente un novizio che, da sinistra, gli rivolgeva uno sguardo di saluto. Era già abbastanza distratto quella mattina. Suonò la seconda campana e fu chiuso il portone.
Come sempre pensò che era strano che una porta alta quasi tre metri di massiccio castagno si chiudesse senza un minimo rumore, quasi che anziché sui cardini girasse sull'aria. Notò soltanto che le fiamme delle candele di fronte a lui tremolavano un po'.
Dopo qualche minuto di silenzio la giornata degli allievi cominciava con un canto; uno dei superiori lo intonava, gli altri suonavano gli antichi strumenti.
L'inno riempì la sala, quaranta voci che non sembravano appartenere a nessuno in particolare, ma essere il suono stesso di quelle mura, tanto era potente e solido.

 

Rotolo era un maestro straordinario per uno come lui, che doveva imparare tutto, perché quel mondo gli era più estraneo che a un bambino. Gli camminava sempre a fianco in silenzio con gli occhi bassi, proprio come faceva alla Scuola quando era con qualche anziano; avrebbe voluto vincere quell'abitudine sciocca, ma di guardarlo in faccia proprio non gli veniva naturale. Si contentava di osservarne l'andatura strana, tutta ballonzolante sulle punte, agile a dispetto della grassezza. Spesso Rotolo agguantava il flauto e ci dava dentro con quanto fiato aveva; un disastro, non ne sapeva cavare tre note in fila. Gli bastava trarne dei suoni ed era tutto soddisfatto, anzi voleva pure i complimenti: "Mica male, eh? Pensa che lo suono solo da due mesi". Era anche questa una prova di quella sicurezza di sé che affascinava tanto Ignazio: "Ecco come sono quelli di fuori - pensava - non come me, sempre pieno di dubbi e fisime". Diventare così, questo era il suo obiettivo; poi avrebbe potuto affrontare ogni cosa. Bellissimo, ma se ne sentiva lontano come dalla Cina.
Dovunque andassero Rotolo conosceva qualcuno.
La prima notte ad esempio si erano fermati a un casolare. Il contadino sembrava scontroso, ma li aveva fatti entrare e durante la cena Rotolo aveva fatto ridere tutti, soprattutto la figlia dell'uomo. Il bimbo più piccolo lo guardava invece con occhi tondi di stupore, che a Ignazio ricordavano la sua reazione quando lo aveva conosciuto. Ecco, era come quel bimbo, quanto a esperienza del mondo. Non così sciocco comunque da non accorgersi che Rotolo cercava di piacere alla figlia senza ingelosire la madre e senza insospettire il padre.
Quando ebbero finito la cena in cui Ignazio non aveva aperto bocca, Rotolo, prima che il contadino potesse dir nulla, lo anticipò : "Il mio aiutante può benissimo dormire nel pagliaio, è abituato", sottintendendo così che per lui era certo pronto un alloggio più dignitoso.
Marito e moglie si lanciarono uno sguardo di dubbio, poi lo sistemarono in casa. Ignazio mentre si accomodava sulla paglia, pensò che di sicuro Rotolo avrebbe trovato la stanza della ragazza nella notte. Fosse stato più sfacciato, al mattino dopo glielo avrebbe chiesto; per timidezza si tenne la curiosità, e chi ne soffrì di più fu Rotolo, che moriva dalla voglia di essere indiscreto. Il contadino li accompagnò fino alla strada, contento dell'unguento per le piaghe che Rotolo gli aveva regalato. Dovunque si fermassero, Rotolo aveva qualcosa da vendere: pozioni contro gli eczemi, l'impotenza, la caduta dei capelli e quasi ogni altro male che fosse possibile immaginare. Con la sua lingua sciolta riusciva a conquistare quasi tutti, e spesso Ignazio aveva ammirato il modo in cui portava il pubblico a mettergli il denaro in mano quasi di forza, senza neppure sapere esattamente che cosa stava comperando. Faceva anche altri commerci più misteriosi, di cui lo teneva all'inizio completamente all'oscuro.

...

...Al mattino uscì presto, ma già la piazza era piena, e bisognava farsi largo spingendo tra la folla; moltissimi erano i fedeli venuti dalle campagne, seri e goffi nelle vesti della festa. Il suo sguardo esercitato gli permise di trovare subito tra la folla i soliti volti di tante altre piazze: tagliaborse, puttane con i loro mezzani e gente come lui. Era tempo che si rimettesse a lavorare, perché gli erano rimasti pochi denari; aveva ancora la merce che il Nano gli aveva alla fine donato. Girò lento la piazza, in cerca di un androne, un posto appena fuori vista, che facesse al caso suo.
E si trovò di fronte Rosa, appena a pochi passi. Tutto gli sparì d'intorno, solo gli occhi azzurri di lei sgranati nei suoi, e niente più mura, né gente, né piazza, tutto sparito attorno a loro, mentre si camminavano incontro piano, come per paura di sciupare tutto. Quando furono l'uno di fronte all'altro, fu lei che gli prese le mani, e se le poggiò sui fianchi. Nessuno dei due osò parlare, per paura di perdere qualcosa di quel momento; ma camminarono sicuri attraverso la folla, salirono le scale della locanda di lei soli come su una montagna e si amarono subito, serenamente, con dolcezza. Rosa ritrovò se stessa, diversa da come si credeva, da come credeva di avere scelto di essere: tutto ciò da cui era scappata. E capì che non voleva più fuggire, non c'era più bisogno. Ignazio non le chiese nulla, gli bastava che lei esistesse, e fosse lì con lui. I primi discorsi li fecero quando fuori non si sentivano più i rumori del giorno. Fu Rosa a chiedere: "Cosa ti è successo da quel giorno? e gli passava la mano in una ciocca di capelli grigi questi non li avevi". "Vuoi che ti dica tutto, proprio tutto?" Rosa si sentì gelare dentro, ma fece la voce calma e rispose: "Sì, tutto". Ignazio parlò a lungo, più di quanto avesse fatto in tutto il tempo che avevano trascorso insieme nel passato. Ne aveva bisogno, un desiderio quasi fisico, impellente di aprirsi, tirare fuori tutto se stesso.
Man mano che parlava il suo discorso prese direzioni impreviste, gli si chiarirono sentimenti riposti di cui non era neppure consapevole. E se dapprima questo gli fece anche paura - e si chiedeva se era giusto - il sollievo che provava vinse ogni sua resistenza. Disse ciò che credeva non avrebbe mai detto a nessuno, pianse abbracciato a lei parlando di suo padre. Nell'ansia di sfogarsi non osservò il volto di Rosa, altrimenti vi avrebbe letto emozioni contrastanti. Dapprima si era sentita sollevata quando aveva capito che non c'erano state altre donne, perché è sciocco ma il dubbio le aveva dato forse il primo momento di gelosia della sua vita; poi il racconto di Ignazio le aveva fatto scorrere una dolcezza quasi di madre nelle braccia mentre se lo stringeva al petto. La impaurì scoprirlo per la prima volta indignato, violento, quando le raccontò del Nano e dell'ignavia e del tradimento di colui che avrebbe potuto forse aiutarlo. Ma la rivelazione del vero ruolo del Gran Maestro la terrorizzò, a lungo cercò di non capire ciò che era fin troppo chiaro. L'odio di Ignazio solo in quella lotta la strappava dentro, parola dopo parola; perché aveva paura, ed era lei, proprio lei più di chiunque altro, che poteva aiutarlo. Non trovava il coraggio né di tacere né di dire a Ignazio tutto. La paura la prendeva dentro come una febbre forte, tanto che Ignazio si accorse che stava male e la fece distendere. Dopo qualche minuto di silenzio Rosa cominciò a parlare, senza aprire gli occhi, con una voce esile che faceva fatica a uscire dal corpo.

Andrea Bocconi

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