Isola di Kere

 

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Piccoli miracoli bellini

14-04-2019

La relazione è lo specchio del Sé, ha scritto J.K.Krishnamurti. Cosa c’è di più difficile di essere in relazione con qualcuno, un bambino, che non sa venire fuori dal suo mondo? Che sembra irraggiungibile. 
Eppure c’è chi lo fa, con saggezza, competenza e amore. Quando Miriam Dinelli mi racconta qualche successo, le cosiddette piccole cose, lei commenta semplicemente: è stato bellino. Piccoli miracoli bellini.
Andrea Bocconi

 

Ellen Marie Cassat In A White Coat – Mary Cassatt,  1896

Ellen Marie Cassat In A White Coat – Mary Cassatt, 1896

 

Rapita dalla favola narrata nella presentazione del sito Kere, seguendo il gioco di metafore che vi si incontrano, potrei iniziare a narrare della mia attività professionale nel modo che segue. 

Sono arrivata in un paese sconosciuto, in un Distretto della così detta Media Valle in provincia di Lucca, trascinata da un’onda improvvisa e inimmaginata: una difficile situazione lavorativa. In un istante l’onda mi ha rovesciata facendomi sentire spaventata e impreparata. Grazie probabilmente a un certo istinto di sopravvivenza, al mio bisogno di essere vista e di creatività, è iniziata per me una ricerca di significato. Si è avviata in questo modo la mia esperienza professionale all’interno dell’ Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza della ASL 2, con sede a Fornaci di Barga, dove mi occupo di bambini con difficoltà evolutive, in particolare con diagnosi di Spettro Autistico.

L’onda aveva scardinato in me certezze e identità. Così, una volta approdata con una certa violenza sull’isola sconosciuta, ho riconosciuto subito - continuando a parafrasare - quelli che sarebbero stati i miei strumenti di salvezza.

Prima di tutto la insostituibile esperienza di chi mi ha preceduta, il gruppo professionale costituito da neuropsichiatre, psicologhe logopediste e terapiste della neuro-motricità. Un gruppo di lavoro grazie a cui è stato possibile soddisfare i bisogni di connessione, reciprocità, competenza, partecipazione, comunione e benessere.

In secondo luogo i testi più importanti in ambito scientifico (Linee guida del Ministero della Sanità,DSM-5,DENVER,DIRecc.); le teorie di riferimento sulla mente, sulle funzioni esecutive, sulla coerenza centrale, i cui deficit giustificano le difficoltà di comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, di interpretare i comportamenti, di pianificare, di selezionare le informazioni, di utilizzare l’attenzione, di integrare le informazioni provenienti da diversi canali sensoriali in una risposta dotata di significato.

E ancora, non meno di valore, i numerosi libri scritti da genitori, insegnanti, educatori che passo dopo passo hanno fatto ricerca, scoperto e condiviso informazioni e strumenti per rendere migliore l’identità di un bambino con difficoltà evolutive. 

Inoltre, una preziosa psicoterapia personale. 

E infine le costanti domande ripetute silenziosamente tra me e me davanti agli utenti che, anch’essi impauriti, impreparati, disorientati e angosciati, approdavano con la stessa violenza sull’isola sconosciuta e venivano trascinati dall’onda della diagnosi fino alla porta della mia stanza educativa-abilitativa. Cosa sei tu/voi per me? Cosa sono io per te/voi? Che significato ha il mondo per te/voi? E per me? Come è il tuo modo di manifestarti al mondo? Quali i tuoi comportamenti (o sintomi)? Saprò parlare adeguatamente, con chiarezza, con semplicità? Come ci possiamo arricchire reciprocamente?

Il filo conduttore di ogni seduta è instaurare un contatto di sguardo, far nascere la relazione, creare questa intesa: io sono qui, tu sei qui. Questo incontro deve essere utile a entrambi, dobbiamo uscire da questi 45 minuti di incontro arricchiti entrambi, fosse anche per la semplice soddisfazione di aver sostenuto lo sguardo un secondo in più.

Sollecitare lo sguardo, implementare l’aggancio oculare, stimolare la competenza comunicativa e relazionale, aumentare l’attenzione condivisa e la reciprocità, ridurre la frustrazione, rispettare le regole, i turni di gioco ecc. Questi gli obiettivi primari previsti generalmente nei Progetti Riabilitativi e Terapeutici che vengono elaborati in équipe referenti, dopo avere fatto una delle seguenti diagnosi: disturbo spettro autistico, disturbo della regolazione emotiva, disturbo del linguaggio espressivo, disturbo della comunicazione, iperattività, deficit cognitivo lieve, medio o grave, mutismo selettivo.

Ho riempito l’armadietto di armi a mio favore: giochi e qualsiasi altro tipo di oggetto possa stimolare una curiosità, una reciprocità. Oltre che a fazzoletti di carta e pannolini, chicchi e biscotti, piccoli premi da usare come rinforzo ogni volta che si è appresa una nuova abilità, o comunque per regalarci una piacevole condivisione come finale della seduta riabilitativa.

Per scelta - motivata sia dalle precedenti esperienze professionali, sia dalle indicazioni delle più recenti ricerche scientifiche - chiedo che i genitori partecipino, più o meno attivamente, alla seduta abilitativa e che si cimentino in alcuni comportamenti utili. Ad esempio modificare gli ambienti familiari e scolastici; interrompere le stereotipie (dondolarsi, sfarfallamento, rotolare oggetti, ecc.); interrompere o interferire con le ecolalie (ripetizione di parole); interferire delicatamente, per il forte stress che può causare, con alcune routine; interferire quando c’è da spostare l’attenzione; meravigliarsi per la conoscenza approfondita di argomenti particolari (animali, pianeti, ecc.) e cercare di sfruttarla per la relazione o per stimolare un interesse che al momento non è assolutamente presente. 

Che cosa accade nella stanza della terapia? Accade che Amelia, quattro anni, entra chiedendo a me, cinquantatré anni, “vuoi essere mia amica?”

Accade che Olaya scappa improvvisamente aprendo la porta senza che io capisca l’evento scatenante, o che mi da un calcio mentre io la sollecito a guardarmi. Accade di ripetere al genitore presente, dispiaciuto e ferito dal comportamento di Olaya, che non sono comportamenti intenzionali ma probabilmente di difesa. Potrei esserle andata troppo vicina, aver usato una tonalità di voce troppo alta o un profumo non gradito. Forse stava passando un camion sulla strada o si sentivano i passi di scarpe col tacco dal piano di sopra. Forse semplicemente non aveva riposato abbastanza o io avevo usato troppe parole mentre avrei dovuto usare immagini e foto.

Accade che Amit usa il suo naso per annusare - che equivale a dire conoscere – tutto ciò che lo circonda: il tavolo, i quaderni, i giochi e altro. Che Loredano si arrotola nel tappeto e io gli concedo un po’ di tempo per stare così riparato prima di andare a cercarlo.

Accade che Leonardo entra nella stanza, la guarda e dice “che bella stanza!”. E accade che io mi sento realizzata per essere riuscita almeno per lui a creare un ambiente dove si senta… bene!

Nella stanza però c’è anche da accogliere il trauma emotivo dei genitori, il loro senso i colpa per avere generato un figlio “non sano”, le loro aspettative deluse, la loro rabbia, le loro preoccupazioni, la loro disperazione, la loro sensazione di sentirsi annullati come persone e chiamati ad essere genitori per tutta la vita. Angoscia che spesso si sintetizza nella domanda “cambierà?”.

Nella stanza si tenta di prendere quella pesante angoscia e si cerca di farla più sopportabile dicendo che le traiettorie evolutive sono imprevedibili, che le diagnosi possono modificarsi come non, che forse quella specifica diagnosi non è passeggera e momentanea ma che si potranno acquisire abilità per migliorare l’identità e farne emergere tutte le potenzialità. Si dice loro che non hanno come figli solo dei bambini diagnosticati, e che quei bambini, come tutti noi, sono molto più del disturbo che hanno. Siamo la nostra storia, le nostre relazioni, quello che pensiamo e penseremo di noi.

Per tornare alla home del sito Kere, ho immaginato il signore dell’isola che ne contempla la bellezza e la illustra ai suoi ospiti. La stessa cosa cerchiamo di fare noi tecnici delle “diverse abilità”: mostrare la bellezza di ciò che c’è per rispondere alla domanda “cambierà?”

Non so se cambierà, so che oggi mi ha guardato per un tempo più prolungato, che ha ripetuto “zzz” indicando l’immagine dell’ape, che ha accettato di perdere al gioco dell’oca e che ha cantato “tanti...uri a te”. So che abbiamo fatto insieme la torre con i cubi mettendo “un pezzo te e un pezzo io”. So che ha detto un chiaro “NO” ad una mia proposta di gioco. So che ha scelto un gioco prendendo un’ iniziativa. So che mi ha imitata, mi ha salutata, e che è stato/a seduto/a sulla sedia per il tempo necessario allo svolgersi dell’attività. So che ha disegnato e parlato di sé. So che mi ha raccontato del lutto dello zio, che si è molto divertito al carnevale, che il suo gioco preferito sono i Play Mobil e che ha accettato di portarli per giocare insieme. So che è stato/a quasi tutto il tempo della terapia sotto il tavolo imitando il cane e il gatto, forse era il suo modo di dire che era stanco/a e che voleva andare a casa. So che oggi non si è morso/a!

Continuiamo a scandagliare e indagare ogni loro comportamento per conoscerlo, comprenderlo e renderlo un ponte comunicativo. 

Miriam Dinelli


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