15-04-2014
Robert Lewis Balfour Stevenson aveva smesso di viaggiare, perché stava morendo ormai da troppo tempo; la nera signora lo aveva scovato anche in quella remota isola samoana– ma l’aveva mai perso di vista ?-.
Gli camminava accanto da quando era un bambino, gli era madre e sorella e spesso gli parlava , ma solo all’inizio dei sogni.
Si fece portare la sdraio sulla veranda.
Fanny gli sistemò la coperta e gli portò un bicchiere di Bordeaux.
Il tramonto era intenso e rapido, non bisognava perderne un attimo. Lo guardarono in silenzio, tenendosi la mano. Pensò ai tramonti e alle albe scozzesi , visti dal faro di Monach, sull’isola di Shilley . A quel tempo suo padre sperava sempre che Robert continuasse la tradizione di famiglia. Robert portava il nome del nonno, grande costruttore di fari lungo le coste scozzesi.
Thomas Stevenson se lo portava dietro nei suoi giri di ispezione, non c’era mare grosso che potesse impedirgli di salire sui suoi fari e gli piaceva la sera versarsi un whiskey e berselo girando sul camminamento esterno.
“…e finalmente quando l’alba chiude la notte e cinge il semicerchio del mare, il faro pallido e alto nella luce sembra più bianco e spettrale che mai… …la notte è finita come un sogno… mentre, sulla torre bianca che si solleva alta con luce gialla nel vetro sbiadito, le lenti rotanti lampeggiano e scorrono e brillano fiocamente contro il cielo.”
Nessuno veniva più da tempo a chiedergli di raccontare delle storie al villaggio di Vailima, quelle storie scozzesi che i samoani amavano tanto, quelle storie per cui gli avevano dato il nome di Tusitala, colui che racconta le storie.
Il suo pubblico non sapeva leggere e non aveva nessuna preparazione letteraria, ma sapeva ascoltarlo attento e lui poteva sentirsi ancora una volta uno scrittore.
Ormai lasciava fare, ma non credeva più nelle cure, indigene o scozzesi . La cuoca Tahiri cucinava per lui il pesce nel cocco, gli dava i pezzi di carne più pregiati : ma lui mangiava pochissimo.
Da molto tempo non toccava la macchina magica, quella che gli raccontava le storie.
Un giorno Tahiri si era fatta coraggio e gli aveva chiesto
Tahiri si era messa le mani al volto, spaventata : aveva capito. E sapeva quello che succede quando gli dei tacciono troppo a lungo.
Ne parlò con gli anziani, che decisero di consultare il capo.
A qualcuno venne un’idea : forse può sentire la voce dei nostri dei, e raccontarci altre storie. Ma restava il problema della macchina magica, non potevano rubarla , e poi era sacra.
E sacra lo era per Stevenson, una Hammond che pesava un accidente, una follia portarsela in giro per il mondo, quella era roba da scrittori sedentari: ne era orgogliosissimo, era stato uno dei primi ad averla, mentre i suoi colleghi non si fidavano di quel marchingengno. A lui piaceva picchiare forte sui tasti. Veniva dal futuro quell’aggeggio e lui amava il futuro, del passato non gli importava niente.
Ainu il figlio di Tahiri aveva spesso portato Stevenson a pesca e gli voleva bene :era bravissimo col legno, gli dava un coltello e ti intagliava un delfino, una stella, il volto di una ragazza. Chiesero a lui.
Ci mise molti giorni, e lavorò in segreto. Aspettò che il sacerdote facesse la cerimonia nella notte di luna piena, legando uno spirito potente con un incantesimo.
Il sacerdote era soddisfatto, e anche il capo.
Gliela portarono di sera, con tamburi e fiaccole :
Stevenson guardava stupefatto questo piccolo monumento di legni, di tasti, di fili d’erba. Sembrava il sogno di una macchina da scrivere. Si tirò su a fatica, per ringraziare con dignità.
Ci mise le mani sopra, attento a non rompere i piccoli legni.
Sentii nitidissimo un suono di cornamuse da guerra , vide la gente del suo clan avanzare nella brughiera. Vide il grande faro di Monach, proprio in cima al monte Vaea. Indicò la direzione con la mano.
Thahiri piangeva piano, Fanny si torceva il fazzoletto tra le mani. Il capo assentì.
Otto giorni dopo, il tre dicembre del 1894, quaranta capi giunti da tutte le isole portarono a braccia in cima al Vaea Tusitala, colui che racconta le storie, e poggiarono sulla terra la sua macchina magica, ultimo dono dei samoani al loro grande amico.
Andrea Bocconi
Teresa Scarpa è Ainu, creatore della macchina che sa le storie