15-04-2014
Il gatto della signora Gertrude mangiava banane. Lei gliele tagliava a fettine sottili e gliele serviva su un piattino di porcellana decorato. Le bucce poi le imbalsamava. Si trattava di un’imbalsamazione dolce, a base di zucchero. Più che imbalsamarle le inamidava. Con zucchero e alcol e l’aggiunta di un briciolo di cera, sosteneva lei. Le bucce, così conservate, le architettava, servendosi di stuzzicadenti, dava loro forme di pupazzi e le teneva sparse per casa come soprammobili. La sua casa profumava, ammorbava addirittura di zucchero, un odor di zucchero tegumentoso, frammisto a quello inebriante, esotico_____giallo_____delle banane, con la scia pungente e soporifera dell’alcol.
La signora Gertrude era una vedova di mezz’età, con i capelli tirati indietro sulla nuca, gli occhiali da miope e il naso, che non era proprio un nasino, sempre rosso. I vicini erano abituati a vederla con l’immancabile grembiule annodato in vita , con le ciabatte nere e i calzini bianchi, corti, che le lasciavano scoperti i polpacci robusti. Qualcuno sosteneva che avesse dei figli che vivevano lontano, forse in America, forse in Australia. Con tutti loro aveva rapporti di buon vicinato, anche se era considerata un po’ stramba. Nessuno ci credeva davvero fosse il suo gatto a consumare quella gran quantità di banane le cui spoglie imbalsamate ornavano la sua casa. Si sussurrava anche che la signora Gertrude bevesse. Soprattutto per via del naso perennemente rosso. Lei asseriva di avere la sinusite e la rinite cronica. Qualcuno era arrivato a mettere in dubbio non solo che avesse dei figli, che non si vedevano mai, nemmeno in fotografia, ma addirittura che fosse vedova. Sì, si era mormorato che la signora non potesse essere vedova perché non sarebbe mai stata sposata.
Ma erano voci che correvano e passavano, che svolazzavano sulla placida vita tranquilla della signora Gertrude, che era una gran cuoca di dolci. Tutto il vicinato aveva gustato le sue torte ai mirtilli, le sue torte di mele, le sue torte alla crema con noci del Madagascar affogate nel cioccolato. Erano enormi le noci del Madagascar e avevano un sapore piccante che il cioccolato esaltava. Fra le delizie dolciarie della signora Gertrude c’erano anche i biscotti al maraschino e le ciambelle arroventate, che dovevano essere mangiate bollenti per coglierne l’amalgama di sapori: cioccolato e vaniglia, arachidi e pistacchi annegati nel rum . A pensarci era strano che la signora Gertrude non avesse fra le sue specialità dolci alla banana, vista la gran profusione di banane che consumava.
Fu poco dopo Natale che la signora Palmira, sua dirimpettaia, cominciò a parlare strano della signora Gertrude.La signora Palmira era una vecchietta sui settanta che viveva da sola, ma tutti i giorni aveva ospiti i nipotini, i figli della sua figliola Cesira. La signora Palmira prese a borbottare a denti stretti contro la signora Gertrude , e a sbraitare proprio , a dare in escandescenze quando le capitava davanti il gatto di costei. Il gatto della signora Gertrude si chiamava Calimero. Era nero, con magnifici occhi verdi , di corporatura robusta, di baffo sopraffino.. Era un gran cacciatore di topi e di uccelli, ma con le persone aveva sempre avuto un comportamento mite, sullo zuzzurellone affettuoso, perennemente in cerca di coccole da chicchessia. Era solito sdraiarsi a pancia all’insù anche di fronte a persone che vedeva per la prima volta. Così quando la signora Palmira cominciò a lamentarsi che quella brutta bestia del gatto della signora Gertude impauriva i suoi bambini, nessuno sapeva cosa pensare. Che la signora Palmira fosse uscita di testa? Lei si metteva a strillare ogni volta che scorgeva Calimero , e strillando ingiungeva alla signora Gertrude di tenere chiusa in casa quella bestiaccia che doveva essere proprio una creatura del demonio, siì, dannata era, terrorizzava i suoi piccini belli, li spaventava a morte, avrebbe finito per farli morire……… Ai vicini non sembrava però che i nipoti della signora Palmira fossero spaventati dal gatto. Quando lo vedevano gli correvano dietro, volevano giocarci, gli acchiappavano la coda, si divertivano a vederlo fare le capriole. “ Ma cosa farà mai il gatto di così terribile?,, si chiedevano, sempre più convinti che la signora Palmira stesse dando i numeri. Finalmente una sera, dopo un ennesimo violento alterco con la signora Gertrude, la signora Palmira, sulla porta di casa, aveva sibilato che quella bestiaccia si divertiva a giocare con pezzi del corpo umano. La signora Palmira si era portata una mano alla bocca dopo essersi lasciata sfuggire quella rivelazione, e subito era entrata in casa, sbattendo la porta. Il gatto che giocava con……….aveva detto con pezzi del corpo umano……. “Già, a me una volta ha pizzicato il naso,, , ricordò l’Adele. “ E a me ha morso un dito, un bel morso anche,, disse Aldo. “ Ma…..un momento, la signora Palmira , avrà mica voluto dire che si tratta di pezzi tagliati dal corpo umano?,, . “Via, che discorsi sono questi ? E dove potrebbe trovare il gatto pezzi di corpo umano?,,. Tuttavia più che inorriditi o preoccupati erano tutti quanti incuriositi, Provarono a chiedere, timidamente, alla signora Gertrude : non era possibile che il suo gatto, andando a frugare nei rifiuti, fosse capitato in qualche cassonetto di rifiuti ospedalieri e avesse arraffato qualche pezzo o pezzetto di corpo umano? La signora Gertrude aveva mostrato loro una faccia allibita, offesa :impossibile, il suo gatto non si muoveva dal giardino. Erano tutte frottole quelle della signora Palmira, invenzioni da vecchia strega maldicente, e tutto perché non poteva soffrire la sua adorabile bestiola. La curiosità ormai era forte, lasciarla insoddisfatta procurava un certo languore o pizzicore, una certa inquietudine via,e fu così che i vicini si decisero a mettere il naso negli affari della signora Gertrude. Decisero di spiarla. Per giorni, dandosi il turno, osservarono ininterrottamente la signora dalle finestre del suo appartamento, che era al primo piano. Le finestre avevano le tende, ma qualche millimetro di vetro rimaneva pur sempre allo scoperto. Inoltre, stando accostati alle finestre, era possibile intravedere anche attraverso le tende: si vedeva in bianco e nero, anzi in bianco e grigio, ma era possibile rendersi conto di quello che succedeva all’interno della casa. La vita della signora Gertrude si svolgeva regolare fra i lavori di cucina, le pulizie e l’imbalsamazione delle bucce di banane . Fu al quinto giorno di ininterrotta osservazione che i vicini videro qualche cosa di insolito. Di prima mattina la signora Gertrude sbucciò una gran quantità di banane che andò a prendere dalla cantina. E, prima cosa strana, non si preoccupò affatto di imbalsamare le bucce, che lasciò anzi sbadatamente ammucchiate alla rinfusa sul pavimento della cucina, tra il tavolo e l’acquaio. Dopo aver sbucciato quella gran quantità di banane la signora Gertrude cominciò a pestarle col mortaio, una piccola quantità alla volta. Via via che le banane , pestate, diventavano una pasta densa e gommosa, lei le metteva sullo spianatoio che aveva collocato di traverso alla tavola e le impastava, aggiungendo farina e uova. L’operazione andò avanti a lungo. Alla fine sullo spianatoio ce n’era una montagna di quell’impasto. Allora la signora Gertrude, dopo aver assaggiato un pizzicotto di impasto, si strofinò le mani al grembiule ed uscì dalla cucina, dirigendosi nel sottoscala. Quando ricomparve trascinava dietro di se’ un grosso sacco nero, di plastica. Il sacco era chiuso con un laccio annodato all’estremità. La signora Gertrude aprì il sacco e ne rovesciò il contenuto sul tappeto della cucina, vicino alle bucce di banane. Dal sacco scivolarono fuori, chioccando sul pavimento ________MANI: sì, avevano tutto l’aspetto di mani umane. Alcune grandi, squadrate, nerborute mani maschili, altre più piccole, affusolate, perfino paffute. Ce n’erano anche che sembravano mani di bambini. Dopo le mani uscì una gamba, tagliata all’inguine, una gran gamba pelosa, dal polpaccio muscoloso , con un grosso piede dalle dita massicce. Poi scivolarono sul pavimento piedi di diverse dimensioni. Piedi lunghi e flessuosi, piedi piatti, piedi tozzi, piedi con l’alluce valvo. La signora Gertrude capovolse il sacco e ne uscirono fuori occhi , orecchi, nasi. Tutto il materiale fuoriuscito dal sacco era, con ogni probabilità, quasi fuor di ogni dubbio, appartenuto a corpi umani. Certo, per esserne sicuri sarebbe stato necessario vedere quelle mani, quei piedi, quegli occhi e quei nasi da vicino, sarebbe stato necessario toccarli.
Dopo aver ripiegato il sacco, la signora Gertrude andò nel ripostiglio a prendere un’accetta dal manico robusto, la impugnò con forza e giù colpi decisi sulla gamba, finchè non fu ridotta a tante fette. Riservò lo stesso trattamento alle mani e ai piedi , che presentarono qualche difficoltà in più rispetto alla gamba, ma alla fine furono comunque ridotti in fette. La signora Gertrude aveva un’espressione molto concentrata quando alzava l’accetta per colpire, sembrava le si allungasse la testa, le si incurvasse la fronte dalla tensione. Presto al posto della gamba, dei piedi e delle mani ci fu un ammasso di fette di carne di varie dimensioni. La signora Gertrude prese dal cassetto del tavolo un gran paio di forbici e con quelle tagliò i nasi, tagliò le orecchie. Con un coltello affilato fece a fettine gli occhi. Quindi, servendosi ora delle forbici, ora del coltello prese a tagliare, a sminuzzare le fette di carne che aveva ricavato dalla gamba, dalle mani e dai piedi. Fu allora che il gatto fece la sua comparsa in cucina, si avvicinò voglioso a quel mucchio di carne, vi accostò il naso, allungò la zampa, ne afferrò un pezzetto che cominciò a spingere davanti a se’, rincorrendolo, afferrandolo e lasciandolo andare. Come se fosse un topo. Alla fine lo mangiò rosicchiandolo. Dopo di che tornò alla carica, rovistando fra i pezzi di carne, raspandovi, leccandoli. E la signora Gertrude gli diceva: ” Buono Calimero, su, fa’ il bravo che la mamma ha da preparare la pappa,,. Intanto raccoglieva con le mani quella carne sminuzzata e la incorporava nell’impasto di banane che stava sullo spianatoio. Alla fine dell’operazione distribuì l’impasto in venti teglie e cominciò a infornare.
A questo punto i vicini, oltre che stanchi, erano perlomeno preoccupati. Si domandavano a chi fosse destinato quel pasticcio di banane e carne umana che la signora aveva preparato con tanta lena. E anche non potevano fare a meno di chiedersi come quella benedetta donna si procurasse quelle mani, quei piedi……sì quei pezzi di corpo umano.
Sul far della sera videro arrivare nel cortile un furgoncino bianco , che sui due lati recava la scritta rossa SOS FAME e sul retro, in caratteri più piccoli, la scritta nera “popolazioni dell’Africa equatoriale”. “ Cerchiamo la signora Gertrude B.,, disse il giovane alla guida del furgone. Lo accompagnava una ragazza bionda, vestita di arancione. Gli indicarono l’appartamento e il giovane salì dalla signora Gertrude insieme alla ragazza. Poco dopo, quando uscirono, i due giovani trasportavano due pile di voluminosi pacchetti, accuratamente incartati di bianco e legati con un nastro azzurro. I vicini, esterrefatti, rimasero a guardarli a bocca aperta mentre depositavano i pacchi nel furgone. “ Ma……la signora Gertrude collabora con la vostra organizzazione?,, , ce la fece infine a chiedere Aldo. “Eh, la signora Gertrude, caro mio,, disse il ragazzo “è una santa donna. Davvero una collaboratrice preziosa, insostituibile_________se non ci fosse lei_________,,
“Ah, sicché vi fornisce alimenti? ,, chiese Adele. “Eccome, ma non solo. Lei non si limita a fornirci derrate alimentari. Lei il cibo lo cucina, amorevolmente, con le sue mani. Ed è una gran cuoca,,
“Oh, che è una gran cuoca lo sappiamo anche noi,, disse Bruno, deglutendo a fatica. “ E scusate_______come fa per_____per le materie prime, sì, per gli ingredienti dei cibi che cucina? Ci pensate voi a procurarglieli?,, chiese Susanna con un certo timore, chè intanto si diceva : “ chissà questi chi sono,, “ Macchè, la signora Gertrude è molto generosa. Pensa a tutto lei,, disse il ragazzo. Aldo, Adele, Susanna e gli altri si guardarono in faccia con apprensione.
Mara Masolini