15-04-2014
C’è un gatto. Pelo fulvo. Ma i colori dominanti in quel quadretto pomeridiano sono altri.
Il giallo paglierino delle sterpaglie fritte al sole di fine luglio. L’arancione dei giubbetti degli operai che lavorano alla rotatoria laggiù in fondo, quella per salire a Montescudaio. Il grigio rovente dell’asfalto, il verde dei pini ai lati della strada.
Il tutto reso più opaco dalla polvere e dall’afa.
Un’Ape da rottamazione si ferma lento davanti alla fonte. Ogni tanto si sente un clacson di qualcuno che ha furia.
Ma chi ha furia vadi piano, direbbe Aldo, incurante della grammatica ma esperto di detti popolari. E soprattutto ostile dal profondo alle trombette degli automobilisti in ritardo.
Scende dall’apino e si mette lì, Aldo, appoggiato alla staccionata del fosso. Guarda tranquillo le cose attorno; i suoi quadretti soliti e rassicuranti, di ricordi da vecchio. DOM in honorem sancti Caroli dicatum, ad esempio. Che non sa assolutamente cosa vuol dire, ai tempi fece la terza elementare a Riparbella e poi nei campi a lavorare. Per lui quella è solo la chiesetta di Casa Giustri, e da lì parte la stradina per andare al podere. Fatto tante volte quel viottolo, a piedi, per andare dal fattore. E infatti la scritta non la legge, perché la vista non è più quella di un tempo, ma la ricorda bene lo stesso.
Guarda quel gatto. Morto stecchito. Nessuno ce lo leverà, tanto. Stasera c’è la finale del pallone e te l’immagini se la gente ha voglia di levare i gatti morti dalle strade. Per me può rimanere lì fino ai prossimi mondiali, pensa tra sé.
Dall’altra parte dell’asfalto, accanto a dove è lui, c’è la fonte. Acqua buona, e viene tutti i giovedì pomeriggio con il suo carretto a motore per riempire le sue vecchie bottiglie. Durano tutta la settimana.
Meglio che spendere soldi per l’acqua. Non sopporta di doversela andare a comprare in Coop, l’acqua. Ai tempi s’andava al pozzo, ma era a gratisse, dice spesso alla nuora e ai nipoti. Ora la fanno anche trepperdue, è una merce di scambio come altre, l'acqua. Che schifo.
Che ore sono? Non è ancora tempo di andare a casa. Ma guarda, una macchina nera parcheggiata dietro la chiesetta. Sembra che sballonzoli. Ci saranno due a fare le cosacce, pensa, tanto oramai puppe e culi si trovano anche sugli scontrini del pane. Buon per loro. Sorride.
Prima di compiere il rito dell’acqua il vecchio ha altri adempimenti cui dedicarsi. Intanto la consueta passeggiata tra i pini, lungo il fosso pieno di pruni. Cento metri e basta. Il fosso però è bello fondo. Due uomini ritti di sicuro. E c’è anche un po' d’acqua, probabile che sia di scarico, con dei pesci a nuotarci.
Chissà come ci sono capitati.
Passa la Sita. O è la circolare dei paesi? Insomma, un autobus.
Ad Aldo fa allegria il pullman. E per un attimo si mette a ricordare le gite di paese con la moglie, la Marisa. Quando stavano ancora a Riparbella, prima di trasferirsi al Palazzaccio. Lei voleva andare sempre ai santuari, e all’inizio lui la prendeva in giro. Poi aveva scoperto che da vedere c’era comunque, ci si divertiva uguale e più che altro si mangiava bene: preti e polli un’so’ mai satolli.
Ora ha l’Ape e viaggia da sé. Di Marisa tiene la foto nel borsellino della patente.
La tira fuori quando va al cimitero. Il lunedì. Ma non fa come gli altri che si mettono lì zitti e fermi a lustrare il marmo. Lui dà un bacio alla foto e poi la saluta a voce alta. E ci parla.
Il pullman è una Sita, va verso la Steccaia, e poi su fino a Volterra. Ecco, dice tra sé, anche a Volterra ai tempi ci si andava spesso. C’era l’ospedale meglio della zona. Però quelle curve sono assassine, boia.
«Dé», gli viene da dire a voce alta, «c’ho visto tante di quelle macchine fracassate che non si contano».
Ora c’è l’autovelox. In due punti. E poi ci fanno tutte queste rotatorie che la gente deve per forza andare piano.
La macchina nera parcheggiata dietro la chiesa se ne va. Non si accorge del gatto, ma almeno non ce lo rispiaccica. Gli operai del comune stanno sempre lì a lavoro. A ribollire al sole.
Ma ai pini ci si respira. Quasi si può dire che ci si sta bene. Aldo si mette anche a contarli, i pini.
Così, per curiosità. Tanto non ha nulla da fare. Il tempo scorre come gli pare, e quel pomeriggio va lento.
Minuto più o minuto meno, contare qualche albero non fa certo la differenza.
Senza dimenticare la prostata, e allora un poco più avanti c’è un po' di canne, per non dare troppo nell’occhio. Lì vicino alla rotatoria. Bello pisciare all’aria. In piedi. Rilassa.
Una macchina sbanda per un attimo. E’ montata sul gatto, ce lo vogliono proprio finire.
Sale il vento.
Aldo ha una camicia verde pisello mezza sbottonata, la maglia della salute che gli spunta da sotto e un paio di pantaloni marroni tenuti su con delle bretelle nere. Dà proprio l’aria del contadino.
E’ un bel fresco all’ombra dei pini, con questo venticello. Il sole sta calando ma è sempre parecchio alto.
Stasera andrò al circolino a vedere la partita, programma mentalmente. Scommetto che a vincere sarà l’Italia. Ci sarà poi anche Lapo, quel tonto, che si farà un bicchiere di vino ogni tre minuti. Per allentare la tensione. Ma poi a casa briao tegolo chi ce lo riporterà?
C’è anche che non è per niente vero che a invecchiare si diventa più furbi, pensa Aldo mentre per caso si guarda le mani grandi e callose.
Il gatto è sempre lì, tutto sbuzzato. Cuoce al sole e all’asfalto. Gatto grigliato.
Ad andare verso Montescudaio intanto nasce un po' di fila. Gli operai smontano e fanno un po' d’ingorgo.
Pomeriggio fatto di niente, come tanti e tanti altri dall’inizio dell’estate, ma implicitamente allegro.
Aldo guarda le macchine, come a voler partire con loro. Lontano lontano, ovunque va bene.
Ovunque è indifferente.
Prova a leggere le targhe, ma gli occhi ormai si rifiutano di piegarsi a richieste così difficili. E poi che gusto c’è adesso a leggere le targhe? Ai tempi era il passatempo più simpatico in autostrada: con le sigle delle provincie Marisa si divertiva coi bimbi a formare parole. E quando erano finite si inventavano.
Oppure Michele iniziava a dire «Dov’è RM?», «Dov’è BR?», «Ma VA vuol dire Vada?», «Perché solo le città grandi hanno la targa? Voglio inventare una targa apposta per Riparbella!»...
Ricordi, sempre ricordi. Ma cos’altro può fare un vecchietto come me, si lamenta bonariamente.
Ora i bimbi sono grandi e ci sono stati a RM, a BR e anche all’estero dove ci sono le targhe gialle e si guida dall’altro lato della strada.
Il gatto non ha bisogno di targa, sbuzzato nel bel mezzo della via per la Steccaia.
Già. Laggiù c’è la Cecina, e il guado. Ora c’hanno fatto il ponte, ma ai tempi si scendeva giù nel ghiaino e si passava da un ponticello che stava sommerso tutto l’inverno rendendo la strada inservibile.
Era una meta di scampagnate primaverili.
Erano belli quei tempi. Non si pagava l’acqua a peso d’oro e la gente sorrideva più spesso. O forse no, forse si sorride anche oggi e io non sono più nel giro... Risata sonora a quei pensieri, tanto non c’è nessuno a sentirlo. E poi, comunque, l’improvvisa esplosione di riso del vecchietto non può proprio disturbare. Risata amara sorta da tutte le ferite che in media si accumulano nella vita tanto quanto da quel passionale sapore che può incontrare talvolta chi ha imparato a gustarla, la vita.
Come le ciliegie sciroppate che faceva la Marisa, ricorda ancora Aldo tra sé completando il cerchio dei suoi pensieri esistenziali: quando si tirava su l’acqua rossa dal cucchiaino per berla piano dopo aver mangiato la ciliegia, pareva di sentire ogni volta un sapore diverso. Nuovo. Simpatico.
Forse la vita in quel momento, a due passi dalla rotatoria e mentre gli operai del comune tornano a casa tra i borbottii degli automobilisti infastiditi, ad Aldo pare proprio come un sapore dolce e forte sulle labbra, giocando col nocciolo di una ciliegia tra i denti e la lingua.
Via, le bottiglie. Vanno riempite, e poi si torna a casa.
Aldo torna all’Ape, prende le bottiglie vuote e ad una ad una, lento, le riempie alla fonte. L’acqua è fresca e pulita, prende il suo posto dentro la bottiglia senza brontolare e quasi contenta di far risparmiare quasi dieci euro al vecchio. Una bottiglia. Due. Dieci. Il sole picchia un po' meno ma in compenso passano più auto. Ventiquattro, e il lavoro di Aldo è concluso. Sistema le bottiglie dietro, nel piano rugginoso del suo glorioso mezzo di locomozione, si lava il viso, tanto ormai è già mezzo ammollato dagli schizzi fatti prima, e si mette le mani in tasca per cercare le chiavi dell’apino.
Il gatto è sempre lì.
Forse non è giusto. Anzi, sicuramente.
Nessuno si merita di esser schiacciato tutto un pomeriggio dalle ruote dei macchinoni dei tedeschi che vengono a colonizzare i nostri agriturismi, anche se hanno perso due a zero e se le tengono belle calde quelle reti spettacolari. Ma anche se non fossero tedeschi non andrebbe lo stesso bene.
Il gatto è morto, e dunque ormai ci può passare sopra un carrarmato. Ma non è bello. Fa un po' schifo a guardarlo.
Magari qualcuno ce lo leverà.
Magari un giorno qualcuno deciderà che le cose belle hanno più senso di quelle brutte.
Magari anche un vecchietto d’estate a poche ore dalla finale dei mondiali può dare una lezione al mondo davanti alla rotatoria per Montescudaio.
Nessuno lo saprà mai. Aldo toglie il gatto dalla strada e lo lascia tra l’erba alta dietro la chiesetta, si lava di nuovo le mani e torna a casa. Mangerà presto per trovarsi in orario con gli amici del bar e vedere la partita.
Non importerà a nessuno, no.
Aldo è felice. Comunque.