15-04-2014
Lo guarda, e vorrebbe riuscire a calcolare esattamente quanti giorni sono passati dall’ultima volta, ma il calcolo si perde nel giro dei mesi e degli anni. E invece lo vede come se fosse ancora bambina, assorto davanti alla bilancina dorata. C’era sacralità nei gesti di suo padre, quando apriva il cofanetto di legno chiaro e sollevava l’asta pieghevole e poi fissava i piatti – li osservava a lungo, per essere sicuro che fossero proprio in pari. Nel cofanetto restavano allineati, in ordine decrescente, i piccoli pesi. Pesava la polvere e i pallini, per le cartucce. Suo padre aveva mani sicure e precise, pensava, e poi mangiava la polenta scondita, senza gli uccellini in umido.
La guarda, e vede solo lei, anche se sono in tre, le giovani donne che la folla sospinge verso la piazza. Verso di lui. E’ invecchiata, pensa, ma negli occhi ha la bambina che sedeva coi gomiti sul tavolo davanti a lui e non riusciva a stare ferma, fino a che lui si arrabbiava perché il tavolo si muoveva e la bilancia non era precisa. E’ invecchiata, pensa, se ne è andata ma è invecchiata.
Suo padre ha ancora il fucile in spalla, con le canne che puntano il cielo. Lei si trova a chiedersi che tipo di cartucce ha sparato, con quel fucile, se le ha fatte da solo, quelle cartucce per ammazzare il nemico. Lei non voleva essere un esempio, voleva solo vivere la sua vita di ragazza, voleva poter ridere, qualche volta, anche se fuori i buoni lottavano contro i cattivi. Suo padre era uno dei buoni. Lei si trova a sorridergli, ora che si incontrano dopo tanto tempo, quanto esattamente non riesce a calcolarlo, ora che tutti intorno gridano e qualcuno la spintona e qualcuno sputa.
La guarda sorridere. Non è cambiata, non cambierà mai, pensa. Quello che succede intorno, non lo vede nemmeno. Crede che tutto sia un gioco. Le hanno portate qui per dare un esempio. Di lui la gente si fida. Se dicesse “questa è mia figlia”, se dicesse “questa è innocente”, nessuno protesterebbe. Ma lei non è innocente, pensa, se ne è andata per avere bei vestiti, ballare alle feste, chiacchierare di cinematografo. Non piange nemmeno. Aspetta e sorride.
La gente si fida di lui. Lui sa cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ora è giusto punire quelle tre donne bionde dello stesso biondo, che facevano la bella vita nelle case dei nemici, con le serve a fare i lavori e i cioccolatini sui tavolini da tè. Le ciocche di capelli cadono sotto le forbici, mentre la gente applaude. Lei è l’ultima. Suo padre le tira i capelli, per fare più in fretta, poi la spinge in mezzo alla folla senza guardare. Passa tra mani che picchiano, mani che strappano via i vestiti, mani che gettano fango. Poi la folla finisce, rimane solo il rumore, giù in fondo alla strada. Lui è di nuovo seduto davanti al tavolo scuro, in mezzo alla piazza. Si è tolto di spalla il fucile, lo ha poggiato davanti a sé. Solo adesso lei sente dei passi che la seguono, sta per voltarsi quando intorno al corpo e alla testa le si avvolge una coperta e la voce di sua madre sussurra il suo nome prima di fuggire.
Anna Vezzoni