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Siddarta e il ciclo delle rinascite

14-04-2014

E ottantuno ! E’ il numero delle edizioni del Siddharta per Adelphi, dal 73  . Herman Hesse ne sarebbe sorpreso ? Di certo ne hanno goduto gli eredi. Ma a queste dovremo aggiungere tutte quelle di Frassinelli, dall’uscita in Italia nel 1945: credo proprio che siamo oltre le cento. Adelphi, a cinquanta anni dalla morte dello scrittore, a novanta anni dalla prima  edizione tedesca del Siddharta  , ne pubblica una     “nobile”,   arricchita, scrive il risvolto di copertina , da “pagine di diario, lettere e riflessioni che ne illuminano aspetti poco o per nulla conosciuti; commenti e reazioni di scrittori e di critici quali Romain Rolland, Hugo Ball e Stefan Zweig; fotografie, riproduzioni di lettere e documenti che consentono di calarsi nel mondo e nelle atmosfere da cui il Siddhartha è scaturito.”

La bella traduzione di Massimo Mila per fortuna resta. Il libro Hesse lo scrive  tra il 1920 e il 21, in un periodo in cui  , già scrittore famoso, le sue posizioni   contro il nazionalismo esasperato  , antibelliciste,  gli avevano creato molti nemici : riceveva lettere piene di insulti dai membri delle associazioni giovanili. Credo che Hesse cercasse rifugio e consolazione in questa storia che rappresentava l’espressione artistica della passione filosofica di una vita   per i testi sapienziali indiani: il Vedanta, il Dhammapada, la Bhagavad Gita e tanti altri . Era nel pieno della sua maturità, a 45 anni.

Siddharta esce in Germania nel 1922. Credo che in Italia non esista un  long seller che possa stare alla pari di questo piccolo,  prezioso romanzo. Per tantissimi anni mi è piaciuto vedere  il libro sempre nelle classifiche della narrativa straniera più venduta di Tuttolibri, mai al primo posto , ma costante nella diecina.

Io l’ho letto  la prima volta a Orvieto, durante il servizio militare, nel 1971 : me lo prestò un amico , Piero Ferrucci,  un po’ più grande di me e molto più colto, che curava la mia formazione con una sorta di biblioterapia. Quando arrivai in fondo ricominciai da capo e pochi mesi dopo, finito il militare, partii per l’India via terra, il primo di tanti viaggi che ancora continuano. Il bello è che l’unico viaggio in India di Herman Hesse, nel 1911,   fu  un fallimento : andò a in Malesia,  a Sumatra e a Ceylon , l’odierna Sri Lanka, ma si ammalò di dissenteria e non raggiunse le coste dell’India come avrebbe voluto. L’Oriente lo impaurì, con le sue malattie, la povertà, la sporcizia . La sua India l’aveva   in casa, nella biblioteca del nonno missionario e dei suoi genitori, nei piccoli bronzi, nelle stoffe dai colori brillanti, nelle memorie di famiglia. Era cresciuto  respirando oriente , sognando  lì una via di pace, lui che era divorato dall’inquietudine.

Alla fortissima aspirazione spirituale si accompagnava un’insofferenza per le difficoltà della vita quotidiana : i  tre figli, la malattia della moglie. Sbaglierebbe però chi pensasse al suo Oriente solo come a una fuga, una pseudo sublimazione. Il   protagonista del romanzo cerca l’illuminazione e nel suo cammino incontra  l’amore sensuale, i commerci , le difficoltà del padre. E’ un cercatore solitario, tanto che, in uno degli episodi più belli, avendo incontrato il Budda , riconosce che è un perfetto maestro e, poiché non se la sente di seguirlo, non cercherà più altri Maestri. Ne troverà un altro , alla fine del suo cammino, inaspettato .

Un libro piccolo, quasi sospeso in un tempo e in una terra che forse non sono mai stati così . Ma quello che descrive è un paesaggio dell’anima, e questo fa sì che Siddharta riemerga  a tratti come rigenerandosi in una nuova reincarnazioni : il libro è sempre quello, ma sono i lettori di epoche e culture diverse che lo fanno rivivere. Anche in India fu molto apprezzato.

A chi parla questo libro ? Negli anni sessanta la hippy generation, letto Siddharta , e magari il Libro tibetano dei morti,  riprese in massa questo movimento migratorio  che era stato di una elite : i Ram Dass, Ginsberg, Leary tornavano a Oriente, seguendo  su altre piste le tracce di quei pellegrini che li avevano preceduti nel “ Pellegrinaggio alle sorgenti “, come il gandhiano  Lanza del Vasto.  Viaggi  legati anche alle esperienze fatte con gli allucinogeni : i sadhu con i loro grandi chilom di ganja sembravano offrire sintesi interculturali interessanti.

Negli anni ottanta ricordo un mio giovane paziente, la cui malattia nasceva da una ricerca inascoltata di senso, che cominciò ad aprirsi alla psicoterapia quando gli dissi che sì, avevo letto il Siddharta, ed era stato importante anche per me. Era un giovane nato in un ambiente povero, ostile ai libri e cercava qualcosa di diverso dal mondo gretto che  rideva dei suoi problemi esistenziali. Scoprire che  altri avevano e avevano avuto le sue difficoltà e le sue aspirazioni, fu mezza guarigione. Io credo che Hesse  parli agli inquieti dell’anima, a chi è curioso di avventure della coscienza, a chi ama quella radicale messa in discussione di  sé che è un vero viaggio, dentro  e fuori.

Dopo quell’isola di pace che è Il Siddharta, Hesse scrive Il lupo della steppa, avventura inquietante nei labirinti della mente, nata anche dalla sua terapia analitica : “quel piccolo pericoloso libretto”, lo definì un amico antropologo a cui lo avevo donato . La pace è finita , bisogna affrontare nuovi fantasmi, ancora più tremendi : ma le ultime pagine indicano l’uscita del labirinto.

Qualcuno discute la grandezza di Hesse , o trova il suo stile antiquato. Ma io credo che, nonostante il premio Nobel, Hesse sia letto non per come scrive ma per i temi eterni che tratta, e che la sua modernità consista in quell’individualismo inquieto, in quella ricerca senza patrie della verità , che è faticosa ma non può essere altrimenti.

Il risvolto di copertina suggerisce che possa interessare i letterati, i filologi,  gli amanti di Hesse che lo hanno già letto : io mi auguro che ci siano in Italia molti sedicenni pronti a seguire Siddharta nel suo viaggio. E sarà l’ennesima reincarnazione di questo libro .

Andrea Bocconi


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