15-04-2014
1. “Mamma, quanto rompi!”
“Te lo vuoi mettere in testa che voglio vestirmi come cavolo mi pare!?”
“Ma vuoi startene zitta una buona volta?”
“Adesso basta, esci dalla mia stanza! Esci, ti dico!”
Sono riuscita a metterla alla porta. Alla buon’ora. Da un po’ di tempo non riesco più a reggerla. Sul serio. Riesce regolarmente a farmi uscire dai gangheri. A me. A me che tutti dicono che sono buona come il pane. Sempre lì a dirmi cosa devo mangiare quanto devo studiare quando devo tornare chi posso vedere... E come mi devo vestire, soprattutto. Questa è una cosa che una proprio non sopporta. Se ha sedici anni per di più. Ripeto: sedici anni suonati e lei che pretende di trattarti ancora come una bambina. Anche se certe volte mia madre mi fa più pena che rabbia. Non ha fatto una gran vita, e adesso si ritrova lì, una vecchia di quarant’anni piena di frustrazioni. Ma che ci posso fare io se mio padre l’ha piantata quando ero piccola. E se quel marpione del suo attuale fidanzato –l’ho capito da come mi guarda le gambe quando lei non vede- ha moglie e figli. E se per tirare avanti ha ancora bisogno di mandarmi ogni mese a bussare a soldi da sua madre...
“No che non ti apro.”
“Perché sono nuda, mamma.”
“Si da il caso che nel frattempo io sia cresciuta, e non gradisca essere guardata da te, e tanto meno sia interessata ai tuoi commenti.”
“Più rompi e più farò tardi.”
Mi piace guardarmi allo specchio. Adesso. Prima mi facevo schifo, ma adesso, no. Anzi. Negli ultimi tempi sono aumentata parecchio di statura. Ma non di peso. E a quanto pare la cosa sta dando buoni risultati. Anche il seno non è niente male. Non è un affare da siliconate, ma ha una sua dignità, una sua suggestiva presenza. E poi la curva dei fianchi, la forma della labbra, l’intensità dello sguardo quando inclino così la testa e accenno questo tipo di sorriso. Per non parlare delle gambe, e di tutto il resto che c’è un po’ più in su.
Più mi guardo e più la mia esistenza mi sembra assurda, un autentico spreco. Tutte le mie amiche hanno risolto la questione da una vita. Tutte tranne me.
Che sembro fatta apposta per attirare gli imbranati. E i timidi e gli indecisi e i platonici. Col bel risultato di essere ancora vergine. Alla mia età. Probabilmente sono l’unica in tutto il reame: una rabbia!
“Ho quasi finito: adesso arrivo!”
“Va bene, mi metto quella rossa che mi ha regalato la nonna.”
Non mi costa niente sfoggiare la collana di corallo della nonna. Anzi. Avevo già deciso di mettermi in rosso totale: intimo, minigonna rigorosamente inguinale, calze a maglia, stivaletti, chemise, rossetto, orecchini, borsetta.
E come tocco finale questa bella bandana di seta.
Wow! Direi che ci sono discrete possibilità di dare nell’occhio. Si sa mai che sia la volta buona.
Vamos.
“Va bene, prendo un taxi, così faccio prima. Si, mi fermo alla solita. Certo che mi ricordo: Veuve Cliquot e Sacher. Non so quando torno. Ciao mà”
La nonna ricca abitava nella brughiera a nord della Città. Allora quella era una zona di villini isolati, molto distanti gli uni dagli altri, costruiti nelle radure di un bosco di latifoglie. Il taxi mi aveva lasciato a parecchie centinaia di metri dalla casa, perché a quanto pare il vento aveva sradicato una quercia facendola cadere proprio di traverso sull’unica sterrata di accesso.
Non era ancora buio e conoscevo la strada a memoria: perciò mi ero inoltrata di buona lena nel fitto del bosco.
L’incontro con Lui fu immediato e inevitabile, perché il suo cane, un grosso e giocoso lupo nero, venne correndo nella mia direzione. Lui fece altrettanto per impedire che mi saltasse addosso, ma arrivò con qualche secondo di ritardo: il suo lupo, dopo avermi buttato a terra, già mi stava leccando le gambe.
Era così alto, forte e deciso! Compresi subito che con le mie deboli forze di ragazza non avrei certo potuto opporre la necessaria resistenza ad un suo probabile tentativo di approfittare di me.
Con un secco comando mandò a cuccia il cane, poi si chinò piano su di me, distesa supina sull’erba. E già arresa, a quel punto.
Non capii ciò che mi disse, ma il suono vellutato della sua voce e l’intensità del suo sguardo percorsero il mio corpo come una carezza infuocata. Allora chiusi gli occhi e attesi che arrivasse il resto: il tocco delle sue mani, il sapore della sua bocca, l’odore della sua pelle. E, infine, la consistenza del suo desiderio...
2. “Ti sei fatta male? Hai battuto la testa?... No? E allora perché stai con gli occhi chiusi?... Aspetta ti aiuto a rialzarti... Ti fa un po’ male la caviglia? Allora può essere che cadendo tu abbia preso una piccola storta: mi dispiace molto... Dove stavi andando, se non è indiscreto chiedertelo?... Ah, da tua nonna: e dove abita?... Si, ho presente la casa, ci sono passato prima, non è lontana: senti, se vuoi, per farmi perdonare, ti posso portare da lei, in braccio; poi con un po’ di ghiaccio dovrebbe andare tutto a posto... Attaccati bene con le braccia alle mie spalle, che il tuo pacchetto lo metto nel mio zainetto... Ah, è una sacher: speriamo bene, allora! Andiamo Lupo! E guai a te se provi ancora a saltarci addosso, capito?!... Ma no che non mi pesi: sei leggera come una piuma...”
Si, leggera come una piuma e profumata come una rosa di maggio. E poi, ha un modo di guardare così dolce, così fiducioso... Pensare che dovrebbe essere arrabbiata con me per quello che le ha combinato Lupo, e invece... Dev’essere una ragazza davvero buona, un angelo. Anche il modo ingenuo con cui si veste: dev’essere talmente innocente da non rendersi conto che vestita a quel modo potrebbe stuzzicare le fantasie di qualche depravato. Povera piccina, senti ora come con le sue tenere mani cerca il contatto con la mia pelle: di sicuro ha bisogno di affetto, di protezione... Mi fa una tenerezza... mi fa... mi fa...
“?”
“!“
3. E’ buio. Strano che non sia ancora arrivata la piccola. Piccola, si fa per dire. Loro diventano grandi e noi diventiamo vecchie. Eh si, è il destino, la ruota del tempo. E non ci sono soldi che tengano contro la vecchiaia. Mi sono fatta tre volte il lifting, ma sembro lo stesso una tartaruga. Eh si, bisogna rassegnarsi, non c’è nulla da fare. Non ci resta altro che vivere di ricordi, si di ricordi e di silenzio... Eh si, di silenzio qui ce n’è in abbondanza... soprattutto se dimentico di mettere l’apparecchio, vecchia sbadata che non sono altro... La dentiera almeno ce l’ho? Si, almeno quella. Ché non mi piace che mi veda come un rottame... Forse è arrivata... mi sembra di sentire un rumore alla porta... Dove ho messo il bastone?
“Sei tu, tesoro?... No, non sei tu: ciao bel cagnolone, aspettavo la mia nipotina e invece sei venuto tu a trovarmi, bravo! Come mai sei da solo, ti sei perso nel bosco? Povero cucciolone, scommetto che hai fame, vero? Aspettami qui, che la nonna ti porta gli avanzi del pranzo di oggi, che a lei invece, purtroppo, di fame me ne è rimasta pochina...
Lo sapevo io che eri affamato! Mangia, mangia, che ti fa bene. Ah, vedo che hai la medaglietta: aspetta allora, che cambio gli occhiali e così vediamo se riusciamo a rintracciare il tuo padrone...
Allora...: “Il mio nome è Lupo: telefonare a Grimm, 575651”
E così il tuo padrone si chiama Grimm! Bravo! Grimm, Grimm: l’ho già sentito questo nome...Mah, forse sarà qualcuno che ho conosciuto in gioventù. Oppure è quel signore che...No, quello non si chiamava Grimm ... si chiamava Petersen, o forse Andersen? Niente da fare, non mi ricordo più niente! Eh si, è o un peccato invecchiare...Si,è davvero un peccato.”
Giuseppe Bettani
boscaiolo metaforico e non
nelle pianure del bergamasco