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Capolona trenta anni dopo

15-04-2014

La prima volta che sono arrivato a Capolona era il 1973. Da due anni mi interessavo di Psicosintesi e, grazie a Piero Ferrucci, avevo conosciuto Roberto Assagioli. Ricordo bene che mi fece un'impressione curiosa: era un bel vecchio distinto (a quel tempo aveva 83 anni) e io non ero abituato all'incontro con persone così anziane. Non so come, mi fece parlare molto di me, dei sogni che avevo, delle mie aspirazioni e mi invitò ad andare a trovarlo quando volevo. Io non sapevo bene perché, ma lo facevo. Andavo a Firenze, facevo la mia psicosintesi personale con Piero Ferrucci e poi salivo le scale di questa palazzina di Via San Domenico per incontrare il Dottore. A quel tempo studiavo legge e la psicosintesi mi faceva esplorare territori di cui non conoscevo l'esistenza, pur riconoscendoli come familiari. Assagioli mi dava dei libri da leggere, mi insegnava la meditazione, il tutto senza alcun atteggiamento di condiscendenza o superiorità. Mi colpì la dedica che mi scrisse sul suo libro "Psicosintesi, armonia della vita": "All'amico Andrea Bocconi". Cominciai a rendermi conto che vi erano tanti modi di essere amici, e non solo quelli tipici di un ventenne. La sua era un'amicizia dell'anima, anche se si sorbiva non solo le mie aspirazioni, ma anche tutte le mie vicende sentimentali di ventenne nei nostri incontri preziosi.
Nella primavera del '73 Piero Ferrucci mi disse: "Ho una grande notizia per te: quest'estate puoi andare a Capolona a fare da segretario ad Assagioli per un mese".
Io mimai un entusiasmo che non provavo fino in fondo, fare il segretario al Dottore in un paesino della campagna toscana mentre tutti i miei amici erano al mare o in viaggio non era esattamente nei miei piani. Eppure dissi di sì.
Mi ritrovai così a La Nussa, la casa di Assagioli, dove ospitava me e alcuni degli studenti che venivano a trovarlo da varie parti del mondo. Mi resi conto che c'era chi attraversava l'oceano per avere quegli incontri che per me erano così facili. L'atmosfera era molto stimolante e assai eterogenea: per nazionalità, età, retroterra culturale. In comune queste persone avevano una ricerca interiore che li aveva avvicinati al lavoro di Assagioli, magari attraverso il libro "Psychosinthesis" che era stato uno dei libri fondanti della psicologia umanistica e transpersonale.
Strano destino quello di Assagioli, protagonista di due rivoluzioni della psicologia, quella psicoanalitica all'inizio del 900 e quella della psicologia umanistica negli anni sessanta: dalla psicoanalisi si distaccò presto, benché Jung e Freud pensassero a lui come a un possibile "ambasciatore in Italia" della nuova disciplina. Sua fu la prima tesi in psicoanalisi italiana, quando si laureò in medicina, per poi specializzarsi in psichiatria studiando al famoso ospedale Burgholtzi di Zurigo ove strinse un'amicizia con Jung che durò vari decenni. Quando la psicoanalisi diventò "rispettabile" se ne era già allontanato. La psicosintesi, con l'attenzione centrale che ha per l'aspetto spirituale dell'uomo era troppo avanti per alcuni, e sospettata di essere troppo indietro da altri. E così mentre la rivista americana Psychology Today dedicava ad Assagioli una lunga intervista nella serie che dedicava ai grandi personaggi del secolo, la corrispondente Italiana Psicologia Contemporanea, stampata a Firenze, dove lavorava, di quel numero riprendeva anche la copertina, oltre a vari articoli, ma non l'intervista di Sam Keen ad Assagioli. Insomma, ai tempi dei seminari di Capolona Assagioli era molto più conosciuto all'estero che in Toscana.
Il legame con Capolona era fortissimo, e non solo per la famiglia della moglie. La villetta in collina dove insegnava, meditava e scriveva, si chiamava Villa Ilario, in memoria del suo unico figlio morto per una tubercolosi presa ai tempi della latitanza per le persecuzioni nazifasciste. Era insomma un luogo del cuore, non semplicemente una casa di campagna e anche dopo la morte della moglie Nella Ciapetti, Assagioli continuò a trasferirvisi all'inizio dell'estate, con un movimento biblico di libri che impegnava tutti in faticose confezioni di casse. Fu proprio mentre preparavo questi pacchi nel suo studio di Firenze che sentii un'improvvisa felicità, assolutamente inspiegabile con la noiosa attività che mi impegnava. Rialzando lo sguardo vidi Assagioli sorridente.
Molti degli allievi che venivano ai seminari di Capolona hanno fatto cose egregie per la diffusione della Psicosintesi: penso a Diana Withmore, che ha creato a Londra un centro molto attivo sia nella formazione dei counselor che in vari campi del sociale; penso a Tom Yeomans, che ha svolto un lavoro pionieristico in Russia e in altri paesi, penso a chi ha creato centri in varie parti del mondo. E naturalmente penso agli allievi italiani, Rosselli, Alberti, Ferrucci, Caldironi, Bartoli e tanti altri che hanno espresso la loro visione e comprensione della psicosintesi in modi diversi, dai libri scritti alla creazione di comunità, dal lavoro nei servizi psichiatrici, a quello nelle scuole, nei carceri etc.
Insomma, ritrovarsi a Capolona questo pomeriggio, dopo la fruttuosa mattinata del convegno presso la Biblioteca Città di Arezzo, per certi versi è sorprendente. Nella visita a Capolona riemergono memorie di quei tempi segnati soprattutto dalla generosità a tutti i livelli di Assagioli. Ricordo che volle a tutti i costi rimborsarmi le spese di vitto, dicendomi: i conti giusti fanno le buone amicizie. Ma ero io in debito con lui per l'opportunità di crescita e di formazione che mi offriva, e lo sapevo anche allora.
Questo lungo intervallo temporale, che mi ha portato dalla giovinezza alla mezza età, mi stimola anche a considerare che cosa è cambiato nella teoria e nella prassi psicosintetica in questi trenta anni, da quel 1974 in cui Assagioli morì serenamente a Capolona, circondato dai suoi allievi.

La morte del fondatore causa sempre ripercussioni profondissime. Assagioli non solo incarnava il Sé della Psicosintesi, ma ne rappresentava anche il centro unificatore esterno, l'Io a cui tutti guardavano come indiscutibile punto di riferimento. Il Sé non può sparire, ma la scomparsa dell'Io attiva un processo di allontanamento dei pianeti che attorno ad esso ruotano, talora l'emergere di orbite conflittuali, talora la nascita e la scomparsa delle supernove. Con le ragioni più diverse questo si è verificato negli istituti di psicosintesi di varie parti del mondo. Anche se alcune di queste vicissitudini sono state causa di grande sofferenza, mi sembra che nella sua totalità tutto ciò rispondesse ad un bisogno di autonomia e individuazione, prima di riallacciare relazioni inter pares che oggi trovano un sereno terreno di incontro. Lo stesso gruppo di Arezzo Psicosintesi, pur in ottimi rapporti con le altre istituzioni tra cui per prima l'Istituto fondato da Assagioli, rappresenta un'entità autonoma. È poi importante sottolineare che vi sono accenti e stili diversi, mediati dalle diverse culture in cui si impianta la psicosintesi, ma non conflitti teorici su punti fondamentali. Le mutazioni o sono adattative, o, se nascono male, tendono per fortuna ad esaurirsi da sé.
Per quanto riguarda l'applicazione terapeutica della Psicosintesi vi è uno sforzo interessante di trovare tra le varie nazioni degli standard formativi comuni, che garantiscano la qualità di questa preparazione, pur senza centralismi: "Ciascuno coltivi il suo giardino", ricordava Assagioli, che inoltre, con un amore per il paradosso, ricordava che neppure lui rappresentava un'ortodossia psicosintetica. La psicosintesi è stata applicata in campo educativo, anche con progetti di respiro internazionale quali WYSE, un'organizzazione che si propone di offrire un'esperienza formativa intensa a giovani leader del pianeta, persone che possono riportare nelle loro comunità questa visione transculturale e contribuire a quella psicosintesi delle nazioni che era uno dei sogni più belli di Assagioli, così lontano dalla cosiddetta globalizzazione forzata dei nostri tempi. Vi sono stati campi WYSE nei cinque continenti dal 1988 in poi e sono stati occasione di verifica della tenuta transculturale del modello, che consente di lavorare in Africa come in Asia o in Europa, su alcuni "fondamentali" dello sviluppo psicologico sano e pieno di ogni essere umano.
"Pensa globalmente, agisci localmente". Ad Arezzo mi piace ricordare l'attività nel carcere locale, che è consistita in una serie di corsi di scrittura creativa, tecnica che si proponeva di dar voce a chi non l'ha, ed aiutare persone svantaggiate sia culturalmente che socialmente a trovare nuovi aspetti di sé.
Oggi che sono uno psicosintesista di mezza età, e uno degli ultimi che ha potuto studiare con Assagioli, il futuro proietta la sua ombra già molto al di là della mia persona, mi chiedo quale sarà lo sviluppo che mi piacerebbe vedere.
A mio parere manca un vero approfondimento teorico, soprattutto in alcune aree: la tipologia di Assagioli, espressa sinteticamente ne "I tipi umani", ha delle implicazioni importanti nella psicodiagnostica e nella terapia, e andrebbe sviluppata la relazione con altre classificazioni studiate nella psicologia clinica. Non è stata sviluppata una psicologia dell'età evolutiva in chiave psicosintetica. Manca ancora una riflessione per una psicosintesi transculturale, che affronti i temi sollevati dal confronto e dall'ibridazione tra varie culture. Penso in particolare alla relazione con le varie tradizioni sapienziali che si propongono in modi diversi lo stesso obiettivo dello sviluppo della coscienza: se la psicosintesi non avesse questa capacità di incontro interculturale e transculturale questa sarebbe una negazione dei principi stessi su cui si basa. Il Sé, o è transculturale o non è. Il rapporto con l'arte e con i processi creativi in genere ha ampie possibilità di sviluppo.
Un pensiero fertile continua a crescere, ma i suoi frutti devono essere chiaramente riconoscibili come frutti peculiari di quell'albero. Non abbiamo bisogno né di cloni della psicosintesi, magari chiamati diversamente né di chiamare con questo nome qualcosa di diverso.
A volte mi chiedo cosa direbbe Assagioli vedendoci qui riuniti in questo paese tanto amato del percorso fatto in questi trenta anni passati dalla sua morte. Lo immagino sorridente e lievemente distaccato, dolcemente inamovibile nella volontà di servire.


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