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Sacro e profano

15-04-2014

Quod este inferius, est sicut (id) quod est superius, et quod est superius, est sicut (id) quod est inferius, ad perpetranda miracula rei unius.

(Tabula smaragdina Hermetis)

Il tema dà un brivido tra le spalle, in quel punto che Nabokov chiamava "l'organo della letteratura". Credo che nasca da quella piccola sorpresa nascosta in ogni spiazzamento, come questa che nasce dall'aprirsi improvviso di un crepaccio cognitivo; Agostino lo ha detto magistralmente a proposito del tempo, notando che sa cosa è il tempo finché non gli viene chiesto, quando lo deve dire non lo sa più.
Sacro e profano sono due termini che sembra facile definire, ma nascondono complessità e spirali di contraddizioni.
Decido di partire dalle etimologie, guidato da Niccolò Tommaseo e da Giacomo Devoto, due che non si lasciano fuorviare facilmente.
Sacro: dalla rad. SAK, propria delle aree italica, ittita, germanica settentrionale e tocaria per indicare" ciò da cui si deve stare lontani perché sacro".
Profano: "davanti al tempio". [1]
Definizioni basate sullo spazio: dal sacro bisogna stare lontani, vi è un tabù spaziale, e allora lo spazio fuori dal tempio è profano. Difatti Gesù caccia i mercanti dal tempio, che vadano nello spazio giusto, quello profano. Non mi sembra che questa parola debba essere svalutativa, è solo una giusta collocazione.
Nel campo dell'etimologia, sono un profano, non sono addentro. Il punto di gravità, il polo magnetico che attrae e respinge è nello spazio sacro: come l'ultima stanzetta del tempio indù. Ove non si può accedere.
Ricordo la cerimonia balinese in cui mi sedetti su un sedile stranamente vuoto: l'amico Pak Mokoh mi accompagnò con garbo in un posto "da cui si vedeva meglio", scoprii poi che lì doveva sedersi un dio. Sacrilegio non intenzionale, ma anche attrazione energetica, forse.
Il fatto è che il confine tra dentro e fuori, tra ciò che è tempio e ciò che non lo è, è un confine soprattutto (ma non solo) mentale.
Ciò che è sacro per gli uni non è così per altri, e non è perenne: Dio Patria e famiglia, dopo il macello di due guerre mondiali, non sono più valori sacri per cui battersi. Scrive Tommaseo: "Il sacerdote è persona sacra. Ma può ben essere altro che santa".
Santo è più che sacro. "Che sacro differisca da santo, lo dice l'unione de' due vocaboli sacrosanto& Santo, che dà o riceve sanzione più solenne, è riconosciuto per sacro, e però deve tanto più rimanere inviolabile& L'infedele distrugge le cose che sa essere sacre al suo nemico. Perché non le crede sante". [2]

Se ciò che rende sacro è un atteggiamento mentale, è possibile non solo profanare ciò che per altri è sacro, ma anche sacralizzare ciò che comunemente si ritiene profano.
Come nello zen che rende sacre pratiche come la disposizione dei fiori, il tiro con l'arco, la cerimonia del tè. Del resto, con uso profano e ironico della parola, si dice che il tè delle cinque è sacro per gli inglesi.
Qua sacro significa irrinunciabile, significa che gli si dà un valore e si creano delle forme, cioè un rituale, in questo caso laico. Anche i rituali delle nevrosi ossessive sono una sacralizzazione fondata sul pensiero magico infantile: se non li si compie accadrà una catastrofe, Dio ci punirà, un Dio padre padrone, che si vendica di ogni infrazione all'ordine, anche a quello delle forme simboliche.
Il mistico, il santo, al contrario forzeranno i confini del sacro, trovando il santo ovunque, e scandalizzando: come il Simeone che si trascinava un cane morto al guinzaglio in chiesa e alle rimostranze dei buoni cristiani, faceva loro notare quanto putridume portassero loro con sé nel luogo sacro.
Il mistico vede Dio, sente la presenza, in ogni manifestazione, che siano i gigli di campo o l'acqua da tirare su dal pozzo. Il profano, poiché non sa, si farà scappare sotto il naso anche le manifestazioni si santità. Per quanti cittadini di Nazareth Gesù era un figlio scapestrato, un falegname mancato?
In un racconto di Anatole France, il procuratore della Giudea, Pilato non riesce proprio a ricordare questo caso che aveva giudicato.
La nostra scintilla di santità è il Sé, quando illumina ciò che era oscuro diviene di colpo presente, evidente, e allora i valori morali faranno posto ai valori etici, e ogni momento del giorno e della notte trova la sua sacralità.
"Lavare il piatto come se fosse il Budda bambino", dicono i tibetani. Nel tantra ciò che è profano diviene sacro: cibi proibiti, sesso.
Come tutte le dicotomie anche quella tra sacro e profano ha una sua verità relativa, un livello di base in cui è utile: chiederemo in un paese nuovo come ci si comporta, impareremo le forme condivise del rispetto per il sacro, le regole del gioco.
Ma ad una visione più profonda, inevitabilmente, il Sé appare come un ologramma presente in ogni atomo dell'ovoide, che sempre lo contiene e ne è contenuto.
"Ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso: come i 'giorni' in alto sono riempiti dalla benedizione dell'Uomo (celeste), così i giorni qui in basso sono riempiti dalla benedizione grazie all'intermediazione dell'Uomo (del Giusto)." (Zohar, Waera, 25-a).
Nel nuovo millennio il sacro va cercato e creato nella strada, fuori dai templi, in ogni attività. Perfino in quelle comunemente considerate sacre.

[1] G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Dizionario etimologico, Le Monnier. [ritorna al punto]
[2] N. Tommaseo, Dizionario dei sinonimi, Vallardi [ritorna al punto]

Edito in Psicosintesi, Rivista dell' Istituto di Psicosintesi


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