15-04-2014
Caro Leonardo, cara Maria Elena,
sembra già passato tanto tempo, eppure qualcuno è ancora in galera. Sembra passato già tanto tempo, si chiamava come? Carlo Giuliani, mi pare. E il carabiniere, lui praticamente non ha nome, pare normale, lo protegge non avere nome, è ovvio, eppure lo distrugge anche, il rinculo di quell'arma da fuoco uccide anche lui, per esistere non può più esistere, e se uccidi un tuo coetaneo,tu sei vittima del tuo gesto. Sofri aveva previsto tutto, con la lucidità dolente del suo osservatorio,con la memoria della sua esperienza: è il primo morto che fa lo spartiacque, dopo nessuno è più lo stesso.
È successo di venerdì, io dovevo andare sabato, nuclei meditanti concilianti, si scherzava, tutta gente tranquilla, ARCI, Mani Tese, Lilliputh: il cellulare avrà squillato dieci volte, ma la batteria era scarica sapevo che erano i miei amici, in dubbio, si va o no, dopo il morte ci sarà la pace del lutto, la rabbia della vendetta o che altro?
Io ho una figlia piccola, un altro in arrivo, i miei amici pure aspettano un bambino, lo sanno da pochi giorni: andare o no? credo che fosse Longanesi che voleva scriverlo nel bianco del tricolore, "teniamo famiglia". La mia mi è accanto, Martina ha detto che se qualcuno spinge il babbo lei gli tira una pizza col pomodoro e poi l'acqua. Oggi gli anarchici nsurrezionalisti cominciano sempre prima ad armarsi.
Maria Elena, nipote e papagirl, mi mandi un messaggino ignara che tuo zio ha il telefono rotto. Lo leggerò molti giorni dopo: se dai fuoco ai cassonetti non sei più mio zio. Mi vuoi bene, ma chissà, forse lo pensi davvero che mi possa trasformare in un violento. Se uno va a Genova, o va per far casino o se le cerca, pensano in tanti. La sera prima tiro tre carte: cinque di spade, lagrimas; gli Amanti, ovvero la scelta; la Torre, ovvero non la vedo affatto bene e non dipende da me.
È una vita che non vado a una manifestazione, perché proprio ora. Perché è ora che accade, c'è qualcosa di nuovo, e voglio esserci. E poi il regista Stefano Agosti, presuntuoso come sempre, ha detto alla radio: io vado quando c'è profumo di storia, non quando c'è puzzo di cronaca. Si sarà mangiato le mani, le riprese ora le hanno fatte gli altri.
Paura non ne avevo, anche se le carte erano chiare, lagrimas lascia pochi dubbi, dicono di portarsi i limoni, non ho capito bene, è come farsi un autogavettone prima che ti bagnino gli idranti. Però prendo scarpe buone per correre, un sarong giavanese un po' magico, che mi può fare da turbante antimanganello, fasciatura e mille altri usi.
Sull'autobus pochi i posti vuoti, anche dopo il morto. Non ho nessuna illusione, sarà una giornata dura: mi guardo attorno, vecchie facce, fa allegria rivedersi,e poi questi ragazzi di venti anni, sguardi puliti, li vedo e temo, non c'è malizia, e oggi servirà perché "ci sono anche i delinquenti, non bisogna aver paura ma stare un poco attenti". Da come parte il nostro gruppo nel corteo capisco che siamo candidati al manganello, ce ne siamo già persa una buona metà, c'è anche una con la gamba rotta in carrozzella, bella determinazione, ma continuerò pensare a lei nel casino tutto il giorno.
Il resto lo sappiamo tutti, i fatti sono argomenti testardi e nell'era mediatica e globale caro Presidente lo dovrebbe sapere, bugie così rozze non resistono, rivoli di verità da tutte le parti, proprio da tutte, perfino dalle sue televisioni, mica solo da Radio Sherwood.
I black block indisturbati e i pacifici picchiati, metter paura, spezzare le reni ai troppi per la strada: copioni vecchi, che ai cinquantenni come me fanno l'effetto di uno dei tanti già visto, già sentito. Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, è stato detto. Forse anche chi la conosce.
Nei giorni dopo le e mail arrivano a cascata, i fwd si moltiplicano in una progressione impressionante. Quella di Leonardo è dura, all'ingiustizia non si vuol più dare una risposta pacifica, la rabbia è compressa, io penso ad un volto aperto, una testa fine, un'impressione di una bella persona.
Penso ancora a Sofri, penso a belle persone che hanno fatto cammini dolorosi e mi chiedo molte cose, in realtà una sola: cosa può rompere questa coazione a ripetere?
Le spiegazioni politiche economiche sociali sono così evidenti che bloccano nella ripetizione.
Il corteo di sabato vedeva sfilare vecchi comunisti greci e antivivisezionisti, curdi e verdi, anarchici e tute bianche, papaboys e molti fuoririga, uno sui trampoli, un francese vestito da vescovo, professionisti di mezza età e terzomondisti, gente del commercio equo solidale. Che vuol dire tutto ciò?
Vuol dire che in molti dicono: ci riguarda, l'interdipendenza di Tich Nat Han, il monaco vietnamita, la vediamo tutti, per cui lo ricordiamo a chi mette in scena questa pagliacciata mediatica del "lasciateci lavorare" dei reclusi nella zona rossa (ironia dei colori). Vi è quindi una coscienza di un potere globale, in cui il corteo deve riconoscere le sue mille facce, e un'idea di prepotenza globale, che pure andrà vista nella stessa scena, ne fa parte tanto più quanto più se ne isola e manganella l'altra parte, o ne subisce la pressione, pacifica o violenta. Tute bianche, i black block, le divise dei vari corpi: la logica delle divise, la parola porta già in sé la separatività.
Eppure quando volteggiano gli elicotteri e parecchi fanno il gesto della P38 o gridano bastardi assassini, ci guardiamo sconfortati con Alessandro e Michela nel vedere il cane di Pavlov ancora all'azione. Stimolo-Reazione, suona la campanella, esce la bava. Come è possibile rompere questo cerchio?
C'è un processo inarrestabile, la presa di coscienza collettiva, per niente antiideologica, ma anche sovra o poliideologica. Questo è nuovo, gli slogan del 68 diomio no, sono miopi. Leonardo, Maria Elena, noi, tutti, è un allargare che comincia a perdere quando abbocca all'amo repressivo io ti bastono, tu ti incazzi, sei un violento. La non violenza attiva è antica come le montagne,diceva un politico sottile come Gandhi. La nostra coscienza dovrà allargarsi, sempre meno separativa, questo sì che è difficile, se già nel mio corteo sai quanti ce n'era che li guardavo e dicevo oibbò, mente critica giudicante sempre militante, pochi i momenti di riposo.
Tich Nat Han è riuscito a fare incazzare i governi del Vietnam e degli Stati Uniti, ha lavorato con i veterani e con gli aggrediti, è stato espulso di qui e di là. È scrittore, insegnante di meditazione, sempre presente al mondo. Luther King lo aveva proposto per il Nobel della pace. La sua gente è stata violentata in mille modi.
Una bambina, una dei tanto boat people che non ce la fanno, violentata da un pirata tailandese si annegò.
Dopo una lunga meditazione, il cuore gonfio di dolore, scrisse questa poesia:
Chiamami con i miei veri nomi
Non dire che domani scomparirò, perché io arrivo sempre.
Guarda in profondità: io arrivo ogni secondo, per esser un germoglio sul ramo a primavera;
per essere un minuscolo uccellino con le ali ancora fragili che impara a cantare nel suo nido;
per essere un bruco nel cuore di un fiore; per essere un gioiello che si nasconde in una pietra.
Io arrivo sempre, per ridere e per piangere, per temere e per sperare.
Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che è vivo.
Io sono un insetto che muta la sua forma sulla superficie di un fiume.
E io sono l'uccello che, a primavera, arriva a mangiare l'insetto.
Io sono una rana che nuota felice nell'acqua chiara di uno stagno.
E io sono il serpente che, avvicinandosi in silenzio, divora la rana.
Sona un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù,
e io sono il mercante che vende armi mortali all'Uganda.
Io sono la bambina dodicenne profuga su una barca,
che si getta in mare dopo essere stata violentata da un pirata.
E io sono il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare.
Io sono un membro del Politburo, con tanto potere a disposizione.
E io sono l'uomo che deve pagare il "debito di sangue" alla mia gente,
morendo lentamente in un campo di lavori forzati.
La mia gioia è come la primavera, così splendente che fa sbocciare i fiori su tutti i sentieri della vita.
Il mio dolore è come un fiume in lacrime, così gonfio che riempie tutti i quattro oceani.
Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme,
cosicché io possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola.
Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io mi possa svegliare
E cosicché la porta del mio cuore sia lasciate aperta, la porta della compassione.
(Essere pace, Ubaldini ed. pg86)
E poi ci sono state le torri, e il bisogno di vedere al di là dell'illusione separativa si fa sempre più urgente, anche se ci si sente sempre più soli, inevitabilmente destinati alla sconfitta dell'oggi e alla verità del sempre.