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Il Matto e il Mondo

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di Andrea Bocconi e Patrizia Lacerna
Editore: Nomina
Pagine: 224

"Gli arcani maggiori sono tappe di un percorso di crescita, simboli potenti di trasformazione. Possono fare molto di più che dirci se troveremo o no la fidanzata , se faremo carriera e magari se vinceremo al lotto."

Queste pagine fanno parte del libro “Il Matto e il Mondo” di Andrea Bocconi e Patrizia Lacerna, uscito nel novembre del 2001 per l’editore Nomina, al quale può essere ordinato direttamente scrivendo a nomina.ed@mclink.it.

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Il matto

Un adolescente strappa il permesso dei genitori per la prima vacanza con gli amici in campeggio. Mentre prepara lo zaino sotto l’euforia scorre un rivolo di inquietudine: sa che è un momento importante, lo desidera, ma ha paura. Una persona che soffre psicologicamente si decide a cominciare una psicoterapia. Esita a lungo di fronte al telefono, magari rinuncia per settimane, prima di comporre il numero. Un giorno chiama lo psicoterapeuta. Mentre il telefono da il segnale di libero, il cuore batte forte. Una donna imposta la lettera con cui si licenzia dalla banca, perché ha deciso di dedicarsi completamente all’insegnamento dello yoga. Esita di fronte alla cassetta. Uno scapolo molto legato ai genitori firma il contratto d’affitto del suo primo appartamento: finalmente vivrà da solo. Una ragazza decide dopo molti dubbi e sofferenze di lasciare il fidanzato (o di fidanzarsi). Tutti abbiamo vissuto qualcuna di queste situazioni, che mescolano eccitazione e paura. È come prima di un tuffo dal trampolino, volutamente si perde il controllo, il solido conforto dei piedi per terra, per lanciarsi nel nuovo. Il Matto, carta senza numero, è l’unico dei XXII Arcani Maggiori che ancora vive nei normali mazzi da gioco, travestito da Jolly, senza neppure un posto nell’ordine delle carte. Anche il suo valore non è fisso. Chi lo mette in cima, chi all’ultimo posto, chi tra il Giudizio e Il Mondo. È comunque l’inizio del viaggio interiore, un’avventura che ci elettrizza, ci porta incontro al nuovo e all’ignoto. “ Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non quello che trova” ci ammonisce, vagamente minaccioso, il proverbio. È vero, c’è chi ci prenderà per pazzi, specialmente se questi cambiamenti non rientrano nelle trasgressioni socialmente accettabili. Come nel caso di quel reduce di guerra che, tornato a casa, non riesce più a vivere la vita di prima: le serate di baldoria con gli amici non gli dicono più nulla, rinvia continuamente la ripresa del lavoro nell’azienda di famiglia. Il padre comincia ad essere nervoso, ma la madre lo esorta alla pazienza. Un giorno entra in ditta e comincia a tirare le merci dalla finestra, per la gioia dei passanti: il padre, esasperato, chiama la forza pubblica e decide addirittura di portare il figlio in giudizio. Il veterano di cui parlo si chiamava Francesco d’Assisi e suo padre, il ricco mercante Bernardone, lo portò di fronte al Vescovo. Si sa che in quella occasione si denudò pubblicamente per ridare al padre anche l’ultima veste. Quali diagnosi psichiatriche si potrebbero utilizzare, quanta psicopatologia si potrebbe scomodare per un comportamento tanto bizzarro? Acting out, disturbo da stress post traumatico, come minimo. Ma qualcuno potrebbe spingersi fino a diagnosticare la psicosi acuta. Un folle, insomma. O un santo. Scrive San Paolo: “Se qualcuno nella vita mondana pensa di essere un saggio, è meglio che diventi un folle per essere davvero saggio, perché la saggezza del mondo è follia con Dio.” Assagioli ha descritto molto bene il conflitto tra la personalità ordinaria e il Sé, che si manifesta in profonde crisi esistenziali che precedono, accompagnano e seguono un risveglio spirituale [1]. La necessità di un significato “altro” può coglierci anche quando tutto va bene nella nostra vita, come racconta Tolstoi nelle sue Confessioni: apparentemente la sua vita era invidiabile: pieno di vigore fisico e intellettuale, famoso, ricco, con una famiglia a cui era molto legato, impegnato, si direbbe oggi, nel sociale, con la scuola per i figli dei contadini della sua tenuta. Eppure “qualcosa di molto strano cominciò ad accadermi. All'inizio ebbi dei momenti di perplessità, e come se la vita si arrestasse, come se non sapessi cosa fare o come vivere, e mi sentivo perduto e disperato. Ma questo passò, e continuai a vivere come prima. Poi questi momenti di perplessità cominciarono a ritornare sempre più spesso, e sempre nella stessa forma. Erano sempre espressi da queste domande: a cosa serve? A cosa porta? In principio mi sembrava che fossero domande irrilevanti e senza scopo…… le domande però cominciarono a ripetersi con più frequenza, e ad esigere sempre più insistentemente delle risposte; e come gocce di inchiostro che cadono sempre nello stesso posto andarono a formare una macchia nera.” [2] Questo bisogno in Tolstoi non si estinse mai nello stagno della rassegnazione, fino a dettargli un’ultima disperata fuga, ormai vecchio, che si concluderà con la sua morte nella piccola stazione ferroviaria di Astapowo. La parola crisi si scrive in cinese con l’unione di due ideogrammi quello che indica pericolo con quello che indica opportunità. Il Matto cammina con la testa per aria, il cane che lo segue in certi mazzi sembra trattenerlo dal precipitare, perso com’è nei suoi sogni, prossimo al precipizio. Ha un vestito strano, pieno di colori, che sembra quello del buffone di corte, che come ricordiamo, corre sempre dei rischi, perché è l’unico che dice la verità al re. Amicus Plato, sed magis amica veritas: come diceva Aristotele: “Platone è mio amico ma mi è ancora più amica la verità.”. Il buffone con i suoi scherzi smaschera l’ipocrisia, è temuto per la sua lingua ma è anche necessario ai potenti che si possono fidare di ciò che dice. Oggigiorno ad esempio si invita negli spettacoli televisivi più paludati Roberto Benigni, salvo poi temere la sua comicità irriverente. Tolstoi sembrò forse preda di una pazzia senile ma non a chi lo conosceva bene. Che dire allora di Kunga Lengpa, uno yogi tibetano vissuto nel secolo XVI. Tuttora onorato in molti templi del Tibet e del Butan. È un vero Matto, che perpetua la grande tradizione del buffone che si fa gioco di tutti, mettendo a nudo l’ipocrisia di potenti e religiosi. L’assoluta libertà di costumi e il suo linguaggio osceno disorientano chi lo incontra, ma la grandezza delle sue realizzazioni spirituali è troppo evidente e i veri maestri come Lama Tzong Khapa lo riconoscono. È stato iniziato in grandi tradizioni, ma le ha lasciate tutte per diventare un Naljorpa, yogi e mistico itinerante, adepto alla pratica della meditazione tantrica. Di se stesso dice: “lo spirito di un Naljorpa è inconsistente come la chiacchiera di un matto, come il rumore di avvenimenti lontani, volubile come la passera di una puttana.” Continuamente si fa gioco dei monaci: “Se non puoi comprendere lo spirito di un Buddha, a cosa ti serve seguire la regola per filo e per segno?.... Se non sei capace di armonizzare la pratica della meditazione con la tua vita, non sei probabilmente solo un imbecille confuso?” [3] A chi gli chiedeva perché vagabondasse rispose: “Non fosse altro che per questa delizia di viaggio da dove guarda il mio culo a dove punta il mio naso, varrebbe la pena di muoversi”. Il Matto è la carta del nuovo, degli inizi, del rischiare e del lasciare. Inevitabilmente si porta dietro un senso di solitudine, forse il cagnetto che lo segue la allevia. È anche il simbolo dell’istinto che lo trattiene dai pericoli di un eccessivo sognare, dal fare un passo troppo avventato, quello che lo farebbe cascare dalla montagna. Nel mazzo Waite il giovane guarda il cielo, ma non sa dove mette i piedi. Il lato oscuro di questa carta è un’impulsività cieca, avventurismo piuttosto che avventura, cecità. È la persona che si mette sempre nei pasticci per un’irresistibile tendenza a ‘buttarsi’: in amore, negli affari, nel seguire un guru.. In genere però c’è una forte tendenza all’inerzia in noi. I cambiamenti fanno paura, anche se ci dichiariamo tipi flessibili e avventurosi. Anche minimi cambiamenti come una deviazione dal nostro solito itinerario dovuta a lavori in corso ci disorienta e destabilizza. Come possiamo esercitarci nella pratica del matto senza farci male? Possiamo provare alcuni piccoli esercizi di stretching psicologico: per un giorno usiamo solo la mano sinistra (i mancini usino la destra, ovviamente) proviamo un piatto che non abbiamo mai mangiato facciamo colazione in un nuovo bar. Se facciamo sempre colazione al bar, prepariamocela a casa resistiamo alla tentazione di raccontare per l’ennesima volta una aneddoto che “funziona” cambiamo itinerario per tornare a casa Osserviamo cosa succede in noi quando ci avventuriamo nel non abituale Anche questo libro vi propone un viaggio e come mezzo di trasporto offre l’immaginazione, come in questa visualizzazione. Sediamoci comodi, leggiamo quanto segue, rilassiamoci ed ad occhi chiusi.. Immaginiamo di prepararci a partire per un viaggio della cui durata non sappiamo nulla. Possiamo prendere con noi poche cose da portare in uno zainetto: non è detto che siano cose “utili”, la scelta è assolutamente arbitraria. È importante essere consapevoli di ciò che lasciamo, per forza di cose dobbiamo fare delle rinunzie. Mettiamo poi lo zaino in spalla e ci chiudiamo dietro la porta di casa all’alba, per dirigerci verso una collina che possiamo già vedere. Notiamo il nostro stato d’animo, le sensazioni che proviamo nel cammino, il paesaggio e gli eventuali incontri. In cima alla collina, ad un crocicchio, il nostro cammino si incrocia con quello del matto, seguito come sempre dal suo cagnolino. Il matto ci dirà qualcosa e ci regalerà un piccolo oggetto. O forse sarà un incontro silenzioso. Dopo questo incontro riportiamo la nostra consapevolezza sulla sensazione dell’essere seduti e dopo due o tre respiri profondi riapriamo gli occhi e prendiamo nota di tutto quello che abbiamo visto in questo breve viaggio interiore. Questo è solo l’inizio e al momento può non esserci chiaro affatto il significato dell’incontro: serve a metterci in contatto con quel lato inquieto in noi che forse ci ha spinto a prendere questo libro. Il significato simbolico delle immagini può esserci oscuro, ma dobbiamo chiederci: cosa ha a che fare con la mia vita? [1] Realizzazione di Sé e disturbi psichici, in “ Principi e metodi di Psicosintesi terapeutica”, Ubaldini, Roma 1970, pg.40-58 [ritorna al punto] [2] Tolstoi, Le confessioni, cit in Assagioli, L’atto di volontà, Ubaldini,pg.84 [ritorna al punto] [3] Gheshe Ciapu, Il folle divino, Adea ed. - Pag. 22 [ritorna al punto]

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